Il contesto in cui è stata ritrovata questa ancora, restituita dal mare a pochi metri di distanza dalla spiaggia, è difficile da ricostruire. La spiaggia in questione era sommersa per poco più di un metro. Secondo i dati scientifici disponibili sul sollevamento marino avvenuto negli ultimi duemila anni lungo le coste dell’Etruria meridionale, il livello del mare nell’epoca augustea era più basso di circa 1,20/1,30 metri rispetto all’attuale, e la linea di costa era sicuramente molto più avanzata. Sulla base di queste evidenze, è molto probabile che l’ancora sia stata abbandonata non in mare, ma sulla terraferma, nelle vicinanze della spiaggia antica, all’interno di un’area umida ben testimoniata dal fondo argilloso e limoso su cui è stata trovata. La sua posizione in un deposito anaerobico di fango e limo ha consentito la conservazione dell’oggetto, che è stato riportato alla luce solo di recente a causa dell’erosione marina causata dalla risalita del mare.
Il luogo in cui è stata ritrovata l’ancora si trova vicino all’antico porto tarquiniese di Graviscae, di fronte al quale sono documentati diversi relitti di navi di epoca romana e la presenza di numerosi reperti di varie epoche sparsi sul fondo marino.
Dopo il ritrovamento, sono trascorsi 33 anni prima che l’ancora fosse esposta al pubblico. Durante questo periodo, l’ancora è stata conservata immersa nel PEG e successivamente è stata curata dalla Soprintendenza presso il laboratorio del Museo Civico di Santa Marinella. È stata poi riassemblata con piccoli interventi di pulizia, integrazione e restauro eseguiti dalla Ditta De.Co. Re. Infine, il reperto è stato finalmente esposto al pubblico nella sala VII del Museo del Mare e della Navigazione Antica nel Castello di Santa Severa, che ha finanziato l’ultima fase di restauro e la sua definitiva musealizzazione.