RAP. E LA PARODIA DEL PERBENISMO

(RICEVIAMO E PUBLICHIAMO)

Parola d’ordine “contraddizione”. Quella sottile e velata sbavatura alle grida d’assalto cavalcando la notizia del momento. Come se sposare una causa attuale possa giustificare il  furbo e pigro letargo precedente. O come pensare che usare un linguaggio violento per  condannare la violenza in genere e di genere non sia di per sé comunque violenza. E allora ci si fa paladini della scia di un attimo, trincerandosi nel complesso mutismo fino  all’attimo antecedente una tragedia. Eppure noi le sciagure le viviamo nella cronaca quotidiana sia nazionale che internazionale, sia del passato che nel presente ma ce ne facciamo portavoce solo nel momento giudicato più opportuno o con un consenso legittimato dall’influenza attuale. Un leone esce dalla gabbia della sua “schiavitù” camminando per le strade della città e tutti ad inneggiare contro i soprusi sugli animali. Prima di quell’istante nessuna, o forse poche, di quelle voci a manifestare fuori dai tendoni dello stesso circo. Perché si. E’ più facile  far sentire il proprio grido solo sul podio del trand momentaneo per poi scivolare nell’indifferenza totale l’attimo successivo.
La violenza di genere prende sfaccettature sempre più serie? E tutti a cercare un colpevole,  un capo espiatorio anche nei testi colorati delle canzoni rap. Nessuno voce però prima di  questo rumore mediatico ad interrogarsi su più fronti. Nessuna coerenza che porti alla  luce i lati oscuri anche della musica travestita da perbenismo. Certo è impresa decisamente ardua tradurre nel loro significato più infimo e reale alcune  strofe nazional popolari che bendano occhi e orecchie con un linguaggio più aristocratico  ma dall’aggressività silente, piuttosto che puntare il dito su testi espliciti che non si caricano di finzione o inutili giri di parole. Come asserire che urlare “PUTTANA” sia più indecoroso piuttosto che dire ad una donna  “sei solo una dai facili costumi”. Opinabile. Certo, la musica rap non usa troppi mezzi termini per esprimere concetti. Sicuramente più  laborioso andare a scovare i testi di artisti come Ron e scoprire così che la dolcezza delle  parole de “Il Gigante e la bambina” nascondano una visione poetica dal punto di vista di  un pedofilo. Che solo a pensare di mettere insieme pedofilia e romanticismo viene la pelle  d’oca. Eppure un argomento ripugnante come quello dell’abuso sessuale infantile ha invaso i testi scolastici della nostra formazione giovanile. Maestri del tempo come Socrate e  Platone, ad esempio, riservano ingenti quantità di documenti sui generis. Eh, ma questo nuovo genere musicale è il male assoluto e il colpevole di un’ondata di violenza senza precedenti. Perciò ignoriamo pure le strofe “violentami, violentami, violentami, violentami miao” di Marcella Bella o “violentami violentami sul metrò” di Jo Squillo.  Per poi proseguire con “Ricominciamo” di Pappalardo che canta sul profumo di note dal  retrogusto ossessivo “so dove passi le notti”. Melodia dal brivido stalker.
Oppure versi tratti da “Lella” di Edoardo e Stelio, che parlavano già di femminicidio intonando un “Tu nun ce crederai, nun cio’ più visto. L’ho presa ar collo e nun me so’ fermato.  Che quann’è annata a tera senza fiato. Ner cielo da ‘no squarcio er sole è uscito. E io la sotteravo co’ ‘ste mano”. Canzone che per la cronaca arrivò terza nel ’71 al Cantagiro, dietro  ad altri due brani di cui uno “Il Gigante e la bambina”. Per l’appunto. O perché non leggere quanta poca libertà femminile esistente nelle parole di un brano noto  di Vecchioni che vuole “Una donna donna donna donna con la gonna gonna”. Proseguendo con un “Prenditela te quella col cervello, che s’innamori di te quella che fa carriera”. Sia mai, infatti. E ancora la genialità delle parole di De André mentre intonava “l’ira funesta delle cagnette  a cui aveva sottratto l’osso”.  Ma si sa, come, infatti cita sulla stessa !Bocca di Rosa” De André “La gente da buoni consigli sentendosi come Gesù nel tempio. Si sa che la gente da buoni consigli se non può più  dare cattivo esempio”. Eh si. La gente da buoni consigli e di brutture ne oscura altre cento. Fino alla prossima ondata da surfare al prezzo di un silenzio comodo che protegge fino a quando quell’aspro e  incoerente commento non debba assumere un significato meramente dispregiativo. O figlio di uno status politico contrario.
Firmato
L’incoerente collettivo

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